Studio: pensare, non solo con la mente. Le mani possono aiutare il cervello

Studio: pensare, non solo con la mente. Le mani possono aiutare il cervello

Due ricerche della Kingston University sottolineano come avere la possibilità di interagire fisicamente con il mondo esterno possa influenzare il modo in cui riflettiamo

di EMILIO VITALIANO

Probabilmente molti sono convinti che il processo decisionale si svolga interamente nella nostra testa e che sia indipendente da ogni altro fattore. Eppure le ricerche della Kingston University di Londra, condotte da Gaëlle Vallée-Tourangeau, professoressa di Comportamento Organizzativo, e Frédéric Vallée-Tourangeau, Professore di Psicologia, vogliono sfidare questo concetto radicato e dimostrare che le interazioni con il mondo esterno sono decisive per risolvere in maniera innovativa vari problemi.

Un primo studio, pubblicato su Acta Psychologica, ha coinvolto cinquanta partecipanti e si è svolto con un test che prevedeva la divisione di diciassette animali in quattro recinti, imponendo, però, la presenza in ognuno di un numero dispari di esemplari. I volontari sono stati, quindi, divisi in due gruppi: ad uno è stata concessa la possibilità di costruire dei modelli fisici con le mani, mentre gli altri avevano a disposizione un tablet ed una penna. Ebbene, i primi hanno dimostrato una maggiore propensione nel trovare una soluzione, che prevedeva la necessità di una configurazione con un recinto in sovrapposizione. Pertanto, uno strumento fisico a disposizione ha migliorato le prestazioni offrendo nuovi spunti su cui basarsi per trovare espedienti alternativi. In altre parole, l’azione stessa ha aiutato a pensare in modo diverso.

I medesimi ricercatori hanno condotto anche un secondo studio, pubblicato su Cognitive Research: Principles and Implications, per valutare l’ansia da matematica, una sorta di paura nell’effettuare calcoli aritmetici, anche banali. L’idea di base era di gestire questa reazione emotiva, capace di creare una vera e propria repulsione per i numeri, attraverso l’interattività. Di conseguenza è stato chiesto ai partecipanti di ripetere più volte una parola mentre eseguivano dei calcoli mentalmente, sia durante una fase di minima interattività (con le mani rivolte verso il basso), sia in momenti di massima interattività (muovendo gettoni numerati). Com’era lecito aspettarsi, proprio l’interattività influenzava le prestazioni e diminuiva l’effetto dell’ansia da matematica.

In conclusione, secondo gli studiosi, è necessario ripensare le nostre convinzioni su come avviene il processo decisionale, per essere più efficaci in circostanze diverse. Per esempio, ricordano sempre gli autori della ricerca, nei colloqui di lavoro i test  di intelligenza classici dovrebbero essere cambiati e costruiti in funzione della mansione proposta, per potenziare la produttività e trovare effettivamente la persona migliore per quel determinato impiego.

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